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martedì 5 novembre 2013

La crosta dei formaggi

Perché i formaggi hanno la crosta, e soprattutto la crosta è sempre da eliminare o ci sono alcuni formaggi la cui crosta è anche buona da mangiare? 
Ad esempio, quella di Gorgonzola, Emmental, Gruyere, Edamer e Provola non va mangiata, quella di Brie, Taleggio o Camembert invece sì. Perché alcune possono essere mangiate e altre no? E la parte vicina alla crosta, è buona o no? 
Formaggi tra mito e leggenda La crosta del formaggio si mangia o si elimina? Di fronte alle varie specialità casearie stagionate, magari straniere, si apre spesso il dilemma. Purtroppo non c'è una risposta univoca. In alcuni casi la crosta è obbligatoriamente da eliminare, come nel formaggio inglese Derby alla salvia, dalla crosta cerata di colore nero. Perché è fatto così? 
Nella gran parte dei casi però si può mangiare, ma essendo la parte più dura e meno saporita, viene spesso eliminata. Basti pensare a tutti formaggi a pasta dura o semi dura di tradizione italiana dal Parmigiano reggiano al Pecorino, dal Provolone alla Fontina. Nella cucina popolare esistono molte ricette per recuperare queste parti, le più note sono quelle che utilizzano le croste del Grana Padano o del Parmigiano reggiano in minestre e risotti. Formaggi d'Italia C'è poi un ristretto numero di formaggi come Brie o il Camembert, o alcuni formaggi di capra nostrani in cui invece la crosta è assolutamente da mangiare perché ne costituisce la caratteristica peculiare. 
In questi ultimi la crosta viene detta fiorita o brinata: le forme nel momento della lavorazione, vengono sottoposte ad un trattamento esterno tramite muffe speciali, solitamente penicilline, che donano alla parte esterna la consistenza soffice e il colore bianco. E' in provincia di Brescia che è molto diffusa la produzione di robiole a crosta fiorita. Attenti ai falsi formaggi! Infine, da citare, la lavorazione della crosta lavata o crosta rossa. Per intenderci, quella del Taleggio. La sua superficie viene ripetutamente lavata e spazzolata per eliminare le muffe che si formano, permettendo la crescita di un particolare tipo di batteri che danno alla crosta un color rosso-marrone. La lavatura della crosta avviene principalmente per mezzo di acqua salata, ma anche birra, brandy e altre soluzioni. Tra i formaggi stranieri più celebri con questo tipo di lavorazione ci sono i francesi Chaumes e il Rollot. La ricotta non è un formaggio Insomma, come spesso accade, l'ultima parola è personale. Dipende di gusti. Tuttavia assaggiare vale la pena!

domenica 3 novembre 2013

Puglia, ulivi uccisi da batterio killer: il Salento rischia il deserto, l’Italia il contagio

In provincia di Lecce 8mila ettari sono stati colpiti da “Xylella fastidiosa”. Centinaia di migliaia le piante da abbattere. Pericolo epidemia per tutta la penisola e anche per l'Europa, ma per tamponare l’emergenza le risorse sono nulle “Non abbiamo mai visto niente di simile in tutta la storia dell’agricoltura italiana”. Muoiono gli ulivi del Salento e quella di Antonio Guario, a capo dell’Osservatorio fitosanitario regionale, è una sentenza senza appello. Un’intera fetta dell’arco ionico-leccese vedrà cancellata quasi completamente la sua pianta simbolo: gli alberi malati vanno sradicati. Sono infetti. E il contagio nel resto dell’Italia e dell’Europa è un rischio troppo alto, tanto da richiedere l’adozione di durissime misure concordate tra Regione e ministero dell’Agricoltura. Forse sottovalutato agli inizi, nella scorsa primavera il rebus degli ulivi ha cominciato a preoccupare davvero. Migliaia di alberi hanno cominciato, d’un tratto, a seccare. 
La sintomatologia, ovunque, la stessa: ingiallimento di estese chiome, imbrunimenti interni del legno, foglie accartocciate come fossero sigarette. Si è pensato dapprima ad un fungo, il Phaeoacremonium, riscontrato in tutti i campioni studiati dai ricercatori. Poi, l’ultima diagnosi, una batosta. A causare il “complesso del disseccamento rapido dell’olivo” è “Xylella fastidiosa”, un batterio finora mai riscontrato in Europa e mai su questa specie vegetale. Di più. E’di tipo patogeno, inserito nell’elenco A1 della Eppo, l’Organizzazione intergovernativa responsabile della cooperazione europea per la salute delle piante. Tradotto, significa che rientra nella lista nera dei batteri da quarantena, necessariamente da isolare, a causa della sua portata infettiva. 
 Non si sa come e quando questo micidiale parassita sia comparso in Puglia. Di certo, come porta d’ingresso nel Vecchio Continente ha scelto Gallipoli. Da lì, si è propagato a macchia d’olio, veicolato da insetti della famiglia dei Cicadellidi. “Sono state queste piccole cicale – spiega Guario – a pungere i vasi xilematici, assorbire la linfa e ritrasmettere il batterio su altri fusti”. In quelli colpiti, le vene strozzate hanno fatto collassare il sistema, con una reazione a catena che ha già travolto tutta la parte sud occidentale del Tacco d’Italia. Xylella fastidiosa ha dimostrato di saper correre veloce. Anche troppo. E ha trovato terreno fertile nello stato di abbandono di molte campagne. “Dobbiamo bloccare la sua presenza, altrimenti è una tragedia. Tutto il mondo agricolo nazionale si aspetta risposte precise da noi. Quelli che abbiamo stabilito sono obblighi complessi, ce ne rendiamo conto. Ma non abbiamo altra strada”. Guario lo ha scandito bene anche di fronte agli agricoltori che ha incontrato lunedì mattina a Lecce: l’olio quest’anno è salvo, ma è un obbligo, appunto, estirpare le piante infette in quella che è stata individuata quale “zona focolaio”, ampia un qualcosa come 8mila ettari. Un’area immensa. “Non si conosce ancora di preciso il numero degli ulivi da abbattere. Attendiamo il database dell’Agea per calcolarlo. Intanto, organizziamo i monitoraggi a tappeto. A metà mese, arriveranno anche due ricercatori dell’Università di Berkeley (Usa)”. A parlare è Angelo Delle Donne, al timone del Coordinamento degli ispettori fitosanitari dell’Ufficio provinciale agricoltura di Lecce. Nessuno può e vuole spingersi a ipotizzare la cifra del disastro ambientale ed economico. Un’idea, tuttavia, ce la si può fare: il Salento è terra che ospita una densità media di 80 ulivi ad ettaro. A rischio sradicamento, solo nell’areale già compromesso, sono, dunque, circa 600mila alberi. “Si sta valutando se espiantarli tutti”, ha confessato Guario. 
Su quelli stroncati a metà, si procederà, nel frattempo, con drastiche potature e con pesanti trattamenti fitosanitari sulle erbe infestanti intorno. Nessuna possibilità, invece, di interventi chimici diretti. E’ un patrimonio inestimabile quello che sta andando in fumo. Nella speranza che il parassita non faccia altri scherzi e stermini altre coltivazioni. E’ la matassa che stanno provando a sbrogliare il Cnr e l’Università di Bari. Laddove Xylella fastidiosa è di casa, in California, ha fatto incetta di vitigni. Il ceppo presente in Puglia pare, comunque, di tipo ipovirulento, non in grado di massacrare viti e agrumi. Ha la forza di attaccare, però, anche oleandri, mandorli e soprattutto le querce, un altro degli alberi più diffusi nel Leccese. E’ per questo che ai vivai della zona è stato sospeso il passaporto di queste piante e imposto il divieto di commercializzarle. Una autentica mazzata, dopo quella delle palme colpite dal punteruolo rosso. “Nessuno, né in Italia né in Europa, sta comprendendo la gravità della questione. Il ministro dell’Agricoltura, Nunzia De Girolamo, ci ha promesso un intervento, ma aspettiamo che lo concretizzi in atti e risorse. Non abbiamo tanto tempo”. L’assessore regionale all’Agricoltura, Fabrizio Nardoni, sa che almeno per tamponare l’emergenza servono “decine di milioni di euro” e che i quaranta esperti inviati da Roma per censire gli ulivi sono un minuscolo palliativo. In cassa ci sono solo pochi spiccioli. E l’intero Fondo di solidarietà nazionale, pari a 18 milioni di euro, non basterebbe a fronteggiare la sola urgenza. Senza contare che il deserto paesaggistico e ambientale che si sta prospettando è anche economico. Fonte